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44 Pentecoste 2*: l’innocenza, anche del colpevole

Un aiuto dalla riflessione filosofica sulla definizione di innocenza

 

Il nostro coro unanime non riesce a coprire la voce che ci rifiutiamo di ascoltare (R.Girard)

Dopo aver visto nel mistero della Pentecoste la visione di un collettivo di persone  che straordinariamente vede la sua vittima si possono cercare altri spunti creativi. La vittima innocente è una figura talvolta sfuggente e transitiva, non si radica necessariamente, per sempre, in una persona (come invece accade quando viene uccisa), il profilo è spesso mobile. Forse anche perché la vittima potenziale, quando può, cerca di mettersi in salvo. Ma questa rivelazione sul profilo della vittima sfuggente e sorprendentemente mobile è essenziale.  Nel realismo cristiano si sa che i ruoli possono cambiare e la realtà è talvolta frammentata e complessa.

 

Secondo Giuseppe Fornari nel suo libro La conoscenza tragica in Euripide e Sofocle sostiene che la vittima più che una figura è addirittura una funzione (p.385), quindi una situazione che qualifica in dati momenti una persona e poi può qualificarne un’altra. Questo distingue la Pentecoste e lo Spirito cristiano da una ideologia che ha, in primo luogo, figure fisse e totalizzanti. Non è facile identificare la vittima innocente. Per questo si ha bisogno anche di simboli come la croce che possono aiutare, provvisoriamente, ad identificare la vittima. Lo aveva capito anche Calamandrei. Ma il primo segno per comprendere la sua portata sull’uomo che deve ricevere questa luce di conoscenza è l’innocenza.

La grande novità antropologica degli ultimi anni è la possibilità di bene intendere la sua innocenza distinguendo diversi momenti e dinamiche di riferimento. Come ha evidenziato lo stesso  Fornari il colpevole per il suo passato viene messo in condizioni di non nuocere è anche in nocens (la in è privativa come nel caso dell’infinitum), non solo parzialmente, ma totalmente, per il presente(ivi p.420). Si tratta della impotenza debole e non violenta davanti alla forza. Come accade in ogni crocifissione o patibolo o gogna*. Quando un soggetto da sanzionare è impotente  è bisognoso di una tutela contro gli abusi che possono venire dalle vittime stesse o dallo Stato che le rappresenta. Non si vuol  negare il male, talvolta terribile, che ha commesso che va condannato fermamente, sanzionato adeguatamente e riparato per quello che è possibile. Ma  si vuole evitare la vendetta e avviare se possibile un processo  rieducativo. Questo corrisponde e spiega radicalmente nel suo fondamento il principio della divisione dei poteri in uno Stato. Per cui il potere dello Stato e il potere/dovere del professionista frenano altro potere. Si spiegano in questo modo le fondamenta della civiltà del diritto

Poi ci sono altri profili del fenomeno di difesa che si sviluppa, con dinamiche qualificate nella Tradizione giudaico cristiano.

Applicazioni: con la comprensione della Rivelazione conoscitiva in questo antico mistero della Pentecoste, vedendo la vittima, specie le nostre vittime è possibile meglio comprendere i drammi di chi ha subito un torto e non viene considerato, anzi si trova a fronteggiare racconti che lo colpevolizzano.  Possiamo dargli la la migliore tutela comprendendo la sua impotenza. Come purtroppo è accaduto a Vincent Lambert in Francia a cui è stata sospesa l’alimentazione e idratazione con l’inevitabile decesso. Non mi risultano volontà sue in questo senso e pertanto non ci sono grandi giustificazioni, specie in presenza di persone che volevano volentieri assisterlo.

Possiamo smascherare anche pretesi difensori delle vittime che, magari anche con iniziali buone intenzioni, alla fine, forse anche per mettersi in evidenza  e sostenere certe idee, creano situazioni di conflitto e arrivano poi a usare mezzi violenti per disincagliarsi dalla situazione che hanno determinato. Se c’è violenza non vale il paragone con Antigone per molte ragioni: la prima è che Antigone non è violenta… se non verso se stessa quando Antigone nella tragedia greca si impicca. Poi riguardo alla disputa che è in corso dentro la Chiesa istituzionale e non, tra progressisti e conservatori penso che da qualunque parte ci si ritrovi, ognuno dovrebbe iniziare con l’altra parte  un dialogo facendo attenzione a non  sfogare le sue frustrazioni demonizzando l’altra (con “la più antica, la madre di tutte le tecniche, quella del capro espiatorio” R.Girard). Pare auspicabile piuttosto  considerare che l’altra parte, pur dentro il suo comportamento discutibile per me, contiene anche  quello che  ancora mi manca, e mi può portare, per alcuni aspetti, un’autocritica salutare… Ma bisogna reagire alla tenebra da dove ci si trova, per custodire il deposito e trasmetterlo. Cristo è morto tra due ladroni. In una posizione centrale. La mia salvezza, comunque la si intenda, dipende da quanto mi avvicino a Cristo o, più umilmente, anche dentro le mie specialità nello sbagliare, al buon ladrone crocifisso.  Non possiamo farci illusioni tuttavia su questo processo: è molto difficile il dialogo. E bisogna anche combattere il comportamento che si ritiene sbagliato, non senza dimenticare i propri limiti. Ma, come rilevava Einstein più facile spezzare un atomo che un pregiudizio. Per chi tenta il dialogo, operatore di pace sganciato da mire di potere, si innalza facilmente un’altra croce. Ma, specie in questo modo, la vittima innocente, nella sua possibile divina filiazione ((Mt 5,9*), torna ad abitare la terra. Foriera di rara, vera e nuova speranza (2 continua).

Qui l’esempio nel cinema di un efficace tentativo di mediazione che riconosce le ferite negli altri: nel film Freedom writers segnalatomi da Virginio di Maio di Filmatrix

N.B: bozza di post da finire

*2 foto di mediaeval punishment: pillory own photo sep 10, 2006 photo: nomo/michael hoefner http://www.zwo5.de

*3 «Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio»