Articoli, Possibilità

Il lavoro con lo spirito migliore, quello di Giuseppe

Il tempo scopre la veritá. Rovesciare la violenza con una presenza 

 

Non piangere, sono stato anch’io un uomo*

Sommario: 1 Inversioni curative nella medicina. 2 Sofferenza anche nel lavoro. Inversioni curative possibili per una presenza: dinamiche antropologiche. 3 Ragioni di una presenza collaborativa estensibile

(agg. 1 maggio 2023) 1  Inversioni curative nella medicina. 

Oggi pensavo alla sofferenza nel lavoro dove ci sembra, qualche volta, di non essere ascoltati e capiti. A maggio 2020 e 2021 a questo problema si aggiungeva  il pericolo di una malattia invisibile, il Covid-19,  di cui possiamo essere tutti portatori. Ma era arrivata sin dal 2020 anche   la bella  notizia per cui chi è riuscito a vincere la malattia può dare il suo sangue e in questo modo ha aiutato  altri a vincere la malattia. Il sangue trasfuso contiene gli anticorpi formatisi nel paziente già guarito dal Covid-19*. L’evento che si è verificato può essere  valutato  antropologicamente, un po’ dall’alto:  è un  rovesciamento del contagio. Quando, pur usando tutti i dispositivi di protezione,  una persona è contagiata poi involontariamente  diventa strumento  del male e può contagiare altre persone. Quando, inversamente, la persona guarita  lascia  che si effettui il prelievo del suo sangue e il plasma viene immesso in una persona malata fa consapevolmente del bene. Conosco persone che appena guarite ben volentieri hanno fatto questo gesto. Si tratta di una grande speranza. 

2 Sofferenza anche nel lavoro. Inversioni curative nella fede e nell’antropologia cristiana

Resta sempre, nel lavoro, la lotta contro la fatica, la dissipazione, la difficoltà di comunicazione. Anche lo scopritore della cura sopra indicata, dottor De Donno,  è stato sottoposto a persecuzione e non ha retto. Troppo tardi la sua cura è stata riabilitata .

Uno studio americano riabilita De Donno: la cura con il plasma iperimmune funziona

  https://fb.watch/mgn_PJnXy6/

 Molti hanno trovato un supporto nella loro fede religiosa dove oltre ad ascoltare la sofferenza Dio ne fa esperienza. Nel cristianesimo il figlio del falegname ha attraversato la sofferenza fino alla fine, circondato  da persone che, al momento cruciale, lo avrebbero abbandonato e rinnegato. Mi è venuta in mente un’illustrazione che avevo trovato in un giornalino “Dimensioni nuove” che avevo letto tanto tempo fa:  il Cristo consolava l’uomo della società post-industriale con queste parole: “Non piangere, sono stato anch’io un uomo”**

Nella stessa direzione ho trovato il sottostante brano in un libro del grande filosofo Jean  Guitton,  e spero, riportandolo, di poter condividere l’emozione spirituale provata . C’è il riferimento alla sofferenza che non riesce a trovare consolazione. In questo quadro perenne dell’umanità in difficoltà si incarna e si eleva la figura di  Cristo che è entrato nel dolore  e nella morte. Qui si rivela la violenza umana ma anche, dall’interno, si riesce a dare forza ad ogni esperienza faticosa perché la sofferenza ha conosciuto l’imprevedibile resistenza e  perdono e in questo modo il sangue versato  dalla vittima ha assunto un’altra direzione: non di vendetta ma di perdono. Poi  ci sono ragionevoli motivi, su cui hanno riflettuto grandi giuristi come Carnelutti e Capograssi  per pensare che la tomba  non sia stata  definitiva.   In questo slancio imprevedibile ed irresistibile si è aperto un varco sulla storia chiusa davanti al muro della morte. “Io sono la porta delle pecore”.  Senza quella parola e l’esperienza di Cristo crocifisso, morto e risorto, in qualche modo comunicabile (anche perché purtroppo tuttora in atto a danno di ogni persona linciata e uccisa), senza questa esperienza che offre la speranza di poter dare un senso ed una via d’uscita alla sofferenza lancinante   non resterebbe che piangere senza alcuna vera gioia o consolazione. Come ha rilevato il giurista Capograssi in un saggio straordinario, Suicidio e preghiera, il divertimento è solo una fuga continua con la quale non si affronta la realtà e il proprio compito da svolgere.

Credo che sarebbe possibile sviluppare ulteriormente dentro di noi la coscienza dell’incarnazione e la consapevolezza del suo rapporto con la vasta famiglia degli uomini. Il lavoratore, ovvero l’uomo nella sua dimensione attuale, si fa luminoso nel Cristo incarnato. Una volta lei mi aveva illustrato i sacramenti nel loro rapporto con la vita comunitaria della Chiesa. Serve un rito per iniziare; un altro per ricominciare, se si è usciti; un altro perché la comunità possa prolungarsi santamente nel corpo e nello spirito attraverso il matrimonio e l’ordine; un altro, infine, perché essa possa pascersi di unità ed eternità, saziarsi del suo fondatore e del suo consumatore. È stata scelta la cifra di sette, Ma come mi faceva notare, si sarebbe potuto benissimo scomporre il sacerdozio in tre sacramenti, o viceversa evitare lo sdoppiamento dell’iniziazione, o fare dell’estrema unzione una penitenza ultima. Il numero sette è simbolo di pienezza. Io perseguo questa idea. Penso che i suoi gesti fossero tutti altrettanti misteri: la lavatura dei piedi, la benedizione dei bambini e del pane, le conversazioni a due lungo la strada, il lavoro da falegname, la lettura delle Scritture nella sinagoga. E poi il sonno, la veglia, la stanchezza, le varie forme di tormento. Credo che se andassimo al fondo della questione, vedremmo calare sul lavoro, sul dolore, su questa umanità comune che i marxisti riscoprono e onorano, la luce nella quale è opportuno vederla. Noialtri devoti, forse per un residuo di giudaismo, abbiamo talora la tendenza a porre limiti al dono divino. Chi sa che nell’epoca prossima ventura i dottori e i santi non aiutino a penetrare, a schiarire ulteriormente questa presenza del divino nell’umano, che è il frutto dell’Incarnazione. Se è capitato una volta che la fame, la sofferenza, l’amicizia, il sonno, il riposo fossero assunti dalla persona divina, allora ogni nostro sentire di uomo si ammanta di un valore sacro, non solo quando è ostentato nella Chiesa, ma quando si cela in quella chiesa concisa che ogni uomo incarna per il fatto di possedere una natura umana onorata dal divino(Jean Guitton in uno dei suoi libri dedicati  al suo maestro Monsieur Pouget)

I credenti potranno affidare questa natura umana talvolta sofferente, ma onorata dal divino,  ad un santo, a San Giuseppe che come lavoratore  si ricorda il 1 maggio. Anche San Giuseppe potrebbe dirci quelle parole di consolazione appena citate. Il grande giurista Capograssi (foto) così lo descriveva: “… menò la più singolare la più meravigliosa delle vite… chiuso nel lavoro assiduo, e nell’amore delle cose divine che vedeva avvenire nel suo tugurio miserabile (Giuseppe  Capograssi alla fidanzata Giulia Ravaglia 22.III.1919). Poi sono arrivati i santi che hanno creduto nella possibile santificazione nel lavoro come Escrivà De Balaguer o tra i giuristi nel magistrato Martire Rosario Livatino

4 Ragioni di una presenza collaborativa estensibile

Si dirà che sono possibilità nascenti solo da una spiritualità esclusiva, giudaico cristiana  peraltro apparentemente calante nel mondo. In realtà proprio dentro il lavoro si può percepire  una presenza che aiuta. Ne scrive bene Capograssi: “

Scrive Capograssi così  alla fidanzata :  …e così sto lavorando molto Giulia mia.. Molto sto facendo, molto sto rivedendo, molto sto rielaborando, e il lavoro esce, il lavoro si forma, si plasma, piglia una forma vitale prende una forma di bontà e di bellezza, prende una fisionomia vitale e umana….Il mio lavoro si forma, si piega, talvolta si spezza, talvolta si cangia, talvolta si colora, ma si empie di di un’anima profonda e solenne (lettera n. 501 del 8.IV.1920 in Pensieri a Giulia).

 

Qualcuno potrebbe ancora obiettare che si tratta dell’esperienza soggettiva  di Capograssi credente. in realtà tutti possono percepire  che ad un certo punto superato l’inganno della fantasia che ti porterebbe a disprezzare il presente ed agognare solo l’altrove, la fase della desolazione, nello sforzo spesso controcorrente qualcosa, qualcuno corrobora la nostra opera. Certo ci vuole una fede ma questa è sempre necessaria, in qualunque ambito. Lo  sapeva bene Calamandrei che scriveva di Fede nel diritto e vale per qualunque arte o professione. E questa fede implica un particolare atteggiamento  meravigliosamente illustrato da Cristina CampoOgni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione. Chiedere a un uomo di non distrarsi mai, di sottrarre senza riposo all’equivoco, alla pigrizia dell’abitudine, all’ipnosi del costume, la sua facoltà di attenzione, è chiedergli di attuare la sua massima forma. E’ chiedergli qualcosa di molto prossimo alla santità in un tempo che sembra perseguire soltanto, con cieca furia e agghiacciante successo, il divorzio totale della mente umana dalla propria facoltà di attenzione (C. Campo, Attenzione e poesia [1961], in Gli imperdonabili, Adelphi, Milano, 1987)

Si può estendere questa possibilità a chi crede ad una piattaforma di valori a cui potrà affidare la sua fatica professionale, insieme ad altri che li condividono,  per darle un fondamento, per cercare una staffetta. Come ha fatto Piero Calamandrei. Insieme sia credenti sia diversamente credenti potranno convergere nella difesa ed attuazione della nostra Costituzione

Applicativi: la possibilità di una presenza collaborativa illustrata nella Tradizione giudaico cristiana di rovesciare, nell’amore, nel sacrificio personale, certe dinamiche negative, sia nella salute che nel lavoro, è una grandissima risorsa motivazionale e agisce anche nell’inconsapevolezza dei protagonisti. Riprendere il rispetto e la riverenza verso certi elementi sacri, intangibili nella vita (non necessariamente collegati ad una religione ufficiale) potrebbe aiutare, forse, anche a  prevenire o attenuare se non addirittura sconfiggere la malattia e la tristezza di sentirsi soli quando si redigono  lettere e atti giudiziari

Temi: pandemia, guarigione, offerta del sangue, antropologia, Guitton, Capograssi,  il sacro.

stato del post: bozza provvisoria

Approfondimenti: dall’incoraggiamento allo slancio:

Un senso alla vita: il segreto nelle relazioni…

 

 

*Poi sono arrivati altri rimedi generalisti ma non è stato chiaro se i benefici erano superiori ai rischi, e si è arrivati purtroppo ad obbligare alcune categorie di persone a vaccinarsi. Questa forzatura con gravi profili di anticostituzionalità potrà aver avuto in alcuni casi dei benefici ma in molti casi ci sono stati gravissimi effetti collaterali ed una  inutile pretesa cura (sperimentale per le case farmaceutiche), anche destabilizzante, su soggetti già protetti per immunità naturale (i guariti). 
**Da una vignetta artistica degli anni Ottanta in cui un Cristo con il volto mostra sofferenza per il lavoro e dice questa frase all'uomo alienato.